E SE TUTTO QUESTO FOSSE VERO?
Piero Listello
“Perché è possibile qui, nei luoghi della mia infanzia e non altrove?”
mi chiedo.
Il segreto credo stia sia nelle radici: un albero può essere trapiantato
e attecchire ovunque, ma quando ritrova l’humus delle sue origini
sboccia a nuova vita.
2 Figure piane progettate per simulare un’illusione ottica tridimensionale dietro cui
si cela una figura nascosta nella trama. Il trucco è guardare l’immagine come se l’oggetto
che si vuole mettere a fuoco si trovasse dietro il monitor: guardando un punto fisso e lasciando
che lo sguardo si perda nel vuoto appare lentamente l’immagine nascosta.
E se tutto questo fosse vero?
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“È la ragione per cui sono tornato oggi...”.
Qui riprovo la piacevole sensazione di fare i classici “quattro passi”
in assoluta tranquillità in un paesaggio noto, se pure modificato
nel tempo. È un privilegio che non mi riservavo da molti anni.
Oggi non si passeggia si corre, in senso figurato, sempre e ovunque
per inseguire il tempo. Fisicamente, in verità, lo si fa molto meno e
solo quando è in, esclusivamente nei luoghi ad hoc e con le giuste
compagnie. Ci fu un tempo in cui diecimila passi al giorno erano
contrabbandati come un toccasana salutista. Anche questa abitudine
è stata soppiantata da apposite app. Esse ci suggestionano al punto
tale che ne risentiamo effettivo beneficio fisico, pur restando sdraiati
in poltrona.
La mia andatura da passeggio oggi mi “suona” ridicola, come
quella che scoprivo, quand’ero ragazzo, nei coetanei “atrofici” che
venivano dalla città. L’equilibrio, nel mettere un piede innanzi all’altro
con una cadenza inusitata, risulta precario. La tendenza inconscia
sarebbe ad accelerare per fare presto…ma presto per cosa, se ci rifletto.
Tutt’intorno è silenzio. Un silenzio che pare irreale, che è in grado
di farmi percepire a distanza il cinguettio degli uccelli così come lo
stridio di ali della cicala. Una quiete che mi ricorda un pomeriggio
assolato nelle brughiere intorno alle malghe che sovrastano il paese.
Una sensazione, quella di oggi, che ricordo di aver percepito poche
volte anche ai tempi della mia giovinezza. C’era comunque ogni
tanto lo sferragliare del treno o i rumori della fabbrica là a fondo
valle o il volo di qualche aereo di linea o la sirena di qualche mezzo
di soccorso.
Ci fu poi il tempo del trionfo del rumore e delle musiche assordanti;
la gente diventava sorda perché ascoltava musica a volume alto e,
poiché diventava sorda, non rimaneva che metterla a volume ancora
più alto.
Ora no! I nuovi veicoli, rigorosamente elettrici, hanno risolto oltre
al resto anche i problemi di attrito e le loro fastidiose conseguenze
acustiche. Gli aerei, con motore al plasma che usa soltanto aria ed elettricità,
sono ormai ridotti a voli intercontinentali e seguono altre vie,
soppiantati sulle tratte transalpine da silenziosissimi treni ultra veloci.
Di fabbriche rumorose neanche l’ombra, anzi per la verità di fabbriche
in assoluto neanche l’ombra! Da queste parti s’è cominciato ben
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prima che altrove a deindustrializzare e non certo in virtù di alternative
ponderate. C’è stata, in ultimo, in questa vallata una forte componente
negazionista, incapace di vivere il cambiamento in ottica positiva.
L’apparenza oggi è completamente diversa: le abitazioni ora si
susseguono, silenziose, lungo la china in una ambientazione “paradisiaca”,
se pure con una ripetitiva ossessionante linearità del costrutto.
Nuove tecnologie e neo ambientalismo hanno fagocitato la
pervicace creatività dei miei concittadini di allora, così volutamente
“originali” (direi meglio invidiosi) da evitare con cura di ripetere le
esperienze e le soluzioni del vicino.
Dopo il periodo dell’ambientazione inintenzionale, più che accidentale,
in cui le città, ma anche i paesini, sono sorti un po’ come
una grotta di stalattiti, si è approdati infine ad una intenzione estetica
nella definizione del paesaggio.
“È stato senz’altro un bene per la conservazione dell’ambiente,
non so se lo sia stato, a gioco lungo, anche per l’individuo”.
La gente che incrocio non si ferma; saluta con la cortese freddezza
imposta dalle convenzioni, ma non sorride. Lo stringersi la mano è
andato in disuso, quasi aleggiasse ancora il timore del contagio di
quella triste esperienza.
Tutti paiono felici. Nello scorrere a volo d’uccello, come mi è
dato fare, attraverso strade, piazze e private proprietà non scorgo che
algida serenità e pace artificiosa.
Un tempo fra vicini si litigava spesso per ragioni apparentemente
futili, ma sempre con l’ardore di chi a queste futilità credeva. Poi
venne il tempo dell’intolleranza totale e a litigare furono gli avvocati,
professionisti prezzolati, innescati per le stesse futilità prese però
troppo sul serio. Ora si litiga, fittiziamente, solo sui social oppure,
fisicamente con molto più entusiasmo, negli stadi di Rollerball. Le
futili ragioni di contrasto, che rimangono, non sono neanche le nostre
ma ci vengono ammannite artatamente.
Al di fuori di questi luoghi delegati tutto è concordia e comportamento
distinto, pur ignorandosi. Fin da bambini si condividono
giochi e divertimenti restando ognuno in casa propria incastrati, è
veramente il caso di dirlo, nella tuta “multi media performing wear”,
casco compreso.
Tutti vivono la loro realtà parallela dove ogni cosa è gioco competitivo
e divertimento. La depressione, che un tempo era stata causa di
E se tutto questo fosse vero?
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turbe e morti precoci, spesso autoinflitte, non esiste più. Le malattie
fastidiose sono eliminate per legge, di altre ora si cancellano i sintomi.
La stessa terminologia scientifica ha preso a non riportarne nomi
e descrizioni. Ora non si muore, si partecipa al processo evolutivo
in corso…
In assenza, spesso, di obiettivi concreti ci si affida alle escape rooms,
specie di labirinti chiusi e pericolosi in cui giovani ignavi e
nullafacenti bruciano la loro vita cercando di dimostrare abilità nel
rimontare una situazione irreale in cui essi stessi si sono infilati, senza
una ragione.
La selezione lungo l’arco della vita non è mai per incapacità o demerito;
è il profilo di ognuno che progressivamente lo colloca al suo
posto! L’aspetto motivazionale, in passato vero motore dell’esistenza,
viene ora soddisfatto a comando attraverso sistematiche lotterie i
cui premi, inconsistenti nella sostanza, titillano le specifiche aspirazioni
di ognuno. A gioco lungo, senza alterare alcunché, ci si ritrova
tutti al proprio posto sociale, soddisfatti nelle personali attese.
D’altronde nel mondo del lavoro, l’ambito a suo tempo prevalente
in termine di aspirazioni, la competizione è pressoché assente poiché
le occupazioni, quelle poche ancora riservate all’uomo, sono tutte
parimente altisonanti. Anche il fatto di aver svuotato i classici luoghi
delegati al lavoro, siano essi uffici o stabilimenti, a vantaggio dello
smart working post pandemia, ha annichilito ogni residuo di competitività
proattiva.
La facilità di condividere carriere e situazioni ha stemperato la
motivazione. L’ascensore sociale rappresentato dalla carriera lavorativa
non ha più ragione di esistere; tutti quanti sono accompagnati,
senza forzi eccessivi, nell’alveo del convenzionale e pianificato.
Sono scomparse completamente proteste e contestazioni. Gli studenti,
tradizionale miccia di rivoluzioni più o meno fasulle, sono ora
degli stoppini intrisi di melassa che al più, quando si accendono,
possono profumare l’ambiente.
In questo remake del paradiso terrestre si è persa anche l’attitudine
a peccare. Il serpente in verità non ha rinunciato a tentare, ma annaspa,
disoccupato, a cercare candidati e motivazioni per trasgredire.
Il peccato necessita di una carenza rispetto a delle attese, ma più
ancora di una personalità spiccata capace di accettare il rischio d’insuccesso
a fronte di un vantaggio atteso. L’attuale sistema di vita ha
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assopito l’una e l’altra delle precondizioni.
La percezione di questo stato di cose, che non è di oggi, mi appare
evidente in tutta la sua incontestabilità più che mai ora in questo
ambito, che definirei ancora a dimensione d’uomo.
Mi aggiro estasiato in questo quadro, a tinte calde e contorni appena
accennati, che nessun pittore fiammingo avrebbe potuto far
meglio. Suoni e movimenti completano lo scenario: un’atmosfera
idilliaca.
Ad un tratto mi colpisce però un particolare: là in fondo alla stradina
che mi vide muovere i primi passi, mi pare di scorgere una
“anomalia”. Una facciata scrostata, rossastra forse per la vergogna di
essere rimasta integra ma dimenticata in un complesso perfettamente
riattato, rovina l’idilliaca continuità di colori tenui, materiali e strutture
moderne ed uniformi.
Il vecchio costrutto ha evidentemente eluso nel tempo tutti i controlli
e resiste nonostante le direttive di tutti gli istituti a diverso titolo
preposti. Risultato non facile di questi tempi, considerate le video
ispezioni sistematiche ad opera del Dipartimento dell’Architettura
Ambientale.
Le tecnologie sempre più avanzate hanno modificato il disegno
dei territori. Oggi si pretende un ambiente votato in tutti i particolari
alla positività e al benessere, anche partendo dalle cose apparentemente
meno significative come le facciate delle abitazioni. Rinnovamento
costante e colorazioni che invitino alla serenità sono, secondo
la terminologia in auge, “fortemente consigliate”.
Architetti blasonati si aggirano di paese in paese con fare inquisitorio.
Comparano l’assetto urbanistico con i più avanzati studi di
“ergonomia dell’habitat eudemonistico” e calano sentenze inappellabili
all’indirizzo di chi o cosa non collima.
Nel tempo l’approccio ha prodotto i suoi buoni risultati: gli ambienti
idilliaci hanno sempre aiutato a vivere bene. Le battaglie ambientaliste,
condotte per anni da sparuti gruppi locali relativamente
poco convinti (di sicuro poco convincenti), hanno lasciato il campo.
Sono state sopravanzate da molto più efficaci campagne di perbenismo
collettivo, sostenuto economicamente da poche ma fortissime
aziende dell’indotto.
Nei fatti, dopo il periodo dell’annunciata distruzione inevitabile
del pianeta per effetto del surriscaldamento, si è approdati feliceE
se tutto questo fosse vero?
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mente a disporre di un habitat assolutamente confortevole. Effetto
non certo da ascriversi a grintose ragazzotte o falsi ambientalisti,
quanto piuttosto allo spostamento di grandi interessi nell’area dell’energia
alternativa e dei nuovi materiali.
La plastica, dopo la fase in cui ha ingrassato tutti i pesci (e non
solo), è scomparsa in favore dell’unico organic monomate fluid, elemento
basilare di ogni packaging, di qualsiasi accessorio e di molteplici
prodotti della quotidianità, auto comprese.
Il plasma, un gas ionizzato con carica elettrica totale nulla considerato
come il quarto stato della materia oltre al liquido solido e
aeriforme, è diventato una materia prima molto comune.
Di polveri sottili non si parla più da decenni e l’anidride carbonica,
vittima di campagne denigratorie senza appello, deve essere oggi
prodotta artificialmente per intrappolare la radiazione infrarossa della
luce solare.
Anche il cibo, in verità, si è ricondotto a pochissimi esemplari caratterizzati
e promossi in virtù di ciò di cui sono senza, più che dalle
prerogative di cui sono portatori in positivo. Le nuove colture intensive,
esclusivamente di quelle specie ritenute basilari per l’utilizzo
umano, hanno risolto il problema della fame nel mondo.