Vissuta circa duecento anni fa, negli anni ’80, quella di Stefania è un’infanzia meravigliosa.

Nata in un minuscolo paesello della campagna Umbra, in un’epoca in cui non esistono internet o social network, ma addirittura neanche la televisione a colori e il telefono fisso, cresciuta a pane e pomodoro, coro della chiesa e nascondino con gli amichetti fino al buio della sera, l’intero paesello è la sua stanza dei giochi.

Stefania, una bimba all’apparenza come tante, ha in realtà una fantasia dalla corporatura robusta e vede in ciò che la circonda molto più di quanto scorgano gli occhi degli altri. Così dietro ad un pomeriggio noioso riesce a scovare lezioni di vita inaspettate, spunti di riflessione illuminanti e adrenaliniche avventure. Stefania vede le Metafore, Loro sono ovunque.

Il piccolo Borgo di San Giomino ne accoglie, con i suoi scorci, i suoi abitanti caratteristici, i suoi aneddoti di apparente banalità, gli anni più spensierati e la traumatica adolescenza, fino a quell’incontro che la travolge, cambiandola come un’alba fa con la notte. Da quel momento, Emme, diventa il coprotagonista della più straordinaria delle avventure vissute fino ad allora, progettando con Lei quel viaggio che da San Giomino li porta in un Altrove dagli occhi a mandorla, così distante eppure così congiunto a quella bambina di cui quella nuova latitudine delineerà un profilo di Donna.

"Sàbaidì", una semplice parola, vestirà della sua dolce pronuncia, l’essenza di quei sentimenti che quel nuovo tutto le suscita, e che ad altre parole non riuscirebbe a spiegare.

Nel vivere giorno per giorno quel viaggio, l’ironia lascia il passo alla poesia che, cresciuta con Lei, porta Stefania fuori da quell’aeroporto e, soprattutto, dall’altra parte di ciò che pensava di sapere.