Il saraceno in Ballarò
Clarissa De Rossi
– Chirrici, Commissà? Io niente dissi.
– Sì lo so, lo so caro Alfio. Sono io che mi sono rincretinito, cu ’stu caldo… Ma
quel Fami, si è più visto?
– Nun lo sacciu. C’è… sacciu che ha trovato un travagghiu, di chiddu bonu, in
campagna, vicino Misilmeri. E rientra troppo tardu per perdiri tempu a
chiacchiarari nei bar del centro.
– Di questo ne dubito, quello la chiacchiera ce l’ha troppo radicata. Ce l’ha nel
sangue quello, la chiacchera. Fammi sapere se riesci a rintracciarlo, Alfio, per
favore.
– Come vuole vossia! Ecche mi fazzu mancari l’occasione di partecipare a una
bella indagine! Che la vistu, Commissà, la puntata di Squatra di carabbinieri,
ieri sera?
– Certo, certo, Alfio – e fece per andare, sennonché Alfio lo richiamò proprio
quando stavano uscendo, sull’uscio della porta:
– E ci dicu iu, Commissà, che la perfezione come la felicità è tutta rintanata
dentro le cose chiuse, oscure, come le cosce delle fimmine, le nicchie delle
statue di Madonne tutte annerite dalla lurdia, le pareti della fontana di piazza
Pretoria, quelle che non si vedono neanche la notte illuminate. Ascutassi a
mia, commissà, lei che è uomo che cerca, che, come-si-dice, indaga, non si
scuddassi di taliari rintra, ma rintra, sutta sutta.
– Lo farò, lo farò, Alfio – disse il Commissario, stordito da una tale rivelazione,
che gli sarebbe stata preziosa nel momento di maggior pericolo, quando
avrebbe affondato con tutto il piede nella melma misteriosa che incatenava
gambe e calzini alla terra, come una piovra gigantesca che proveniva dal
fondo di essa e immobilizzava tutti coloro che combattevano inutilmente una
forma indefettibile di immobilismo, annaspando. Perché il tormento più
grande era vedere la fine e non riuscire ad afferrarla.