
Come chi smuove il braciere spento
Luca Antonio Catoggio e Catoggio
La sera prima della mia partenza, eravamo seduti sotto il platano, nel tempio che aveva dato un senso a ogni nostro incontro. Istintiva, quasi violenta scoppiò la lite, come se tutto ciò ch’era accaduto in quei giorni non avesse disastrato abbastanza l’humus della comune biografia.
Se amicizia è la condivisione di qualcosa, noi avevamo molto di più: eravamo affratellati dall’esser nati nello stesso paese, inciampando uno nell’altro nella fase in cui qualcosa di bello e di terribile ci accade. Certe cose sono proprio sotto il naso e le ignoriamo. La conoscenza arriva lenta e costa cara. Ora veniva la parte più disgustosa: farlo confessare. Se era come pensavo, aveva già fatto l’abitudine a mentire e non lo avrei mai smascherato. Occorreva fare presto, trovare qualcosa, e sapevo cosa. Non aveva mai fatto nulla senza poterlo raccontare: era stato così con le donne, con le scuse per non farsi interrogare, con i bluff al tavolo di gioco. Un bugiardo incallito, con la debolezza della vanità. Lo presi a braccetto e proseguimmo, noi due soli, lasciando indietro tutti gli altri.
Me la giocai come una partita a scacchi. La tattica era elementare: prendere l’iniziativa, una due digressioni, colpire con un affondo.
Ecco, tutto potrebbe cominciare con una camminata: dio quanto ci piacevano!