C'è un paese tra le nuvole che si chiama Senise | Estratto | Artisti di Borgo
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C'è un paese tra le nuvole che si chiama Senise

Vito Briamonte e Vito Briamonte

... le Tv a tutte le latitudini hanno creato il vuoto, un cortocircu-

ito che ha annientato sentimenti, ricordi, le belle sensazioni a cui

 

quelli della mia generazione erano abituati, la loro filosofia di vita:

vedere tutti i giorni per strada uomini e donne normalissimi che

 

però parlando e muovendosi come attori in un teatro a cielo aper-

to sembravano recitare un copione, battute, ilarità, ma non c’era

 

alcun copione, tutto era vero e le risposte improvvisate, nessuna

finzione, loro erano semplicemente fatti così, quello il loro modo

di essere, di pensare, di interpretare la vita, la loro giornata, con

le loro passioni, i loro tic, le loro battute, intercalari, sentimenti,

sofferenze e goliardie. Con loro è morta la loro filosofia, il loro

modo di interpretare e adattarsi alla vita di tutti giorni. Dagli anni

duemila in poi non ne sono nati di eguali.Quando torno a Senise è mia abitudine recarmi spesso al ci-

mitero. È lì che mi trattengo per lungo tempo a camminare tra i

 

solchi delle tombe che tra la nuda terra recano i segni indelebili

del tempo che passa. Posso dire di conoscerlo a memoria. Croci

 

a volte senza nome ormai consumate dai venti, dalle piogge e in-

temperie. Nomi di uomini e donne d’altri tempi, molto spesso nati

 

a metà dell’800, quando in America nordisti e sudisti facevano la

guerra di secessione. Molte non hanno più le foto in altre invece,è ancora possibile vedere i volti e mezzi busti sbiaditi di coloro

che furono, morti già quando io ancora non ero nato.

...Tra i vicoli anche galline che come per

incanto la sera si ritiravano ognuna presso i propri padroni, a volte

 

in recinti e a volte anche dentro casa. Al lato di alcune abitazio-

ni o spesso sottostante, il ragliare di muli e asini si ascoltava per

 

isolati interi. Tra le stradine era bello sentire l’odore dello sterco

 

lasciato dagli equini misto a quello della frittura ri crisp’! I bal-

coni diventavano rossi durante il periodo dell’essiccatura dei pe-

peroni cruschi. Le spase piene di fichi freschi che al sole si sareb-

bero essiccate spandendo quel tipico odore di noci che venivano

 

inserite ad essiccatura ultimata. Non c’era porta o portone dietro

ai quali non vivessero famiglie, bottegai che vendevano i propri

articoli, latterie e alimentari che distribuivano generi di prima

necessità, sarti, calzolai e falegnami. Tutto era parte del luogo e

sembrava obbedire ai meccanismi di un presepe vivente. Oggi un

senso di desolazione attraversa chi come me si aggira per quelle

stradine, nella testa i ricordi di quei momenti, di quei vecchi, di

quei fanciulli con i pantaloni pieni di toppe e oggi invece stradine

completamente vuote. Lì abitava A CAITAN’ con i suoi quattro

figli, più su CUMMA RSARIA RA’ SACRSTAN’ e i suoi nove

figli nati e cresciuti, in un unico stanzone con la finestra che dava

sul cortile della chiesa. In un breve tratto di stradina la bottega di

 

MARIO RU’ CARDALAN’, il portone di Don Peppino Barlet-

ta e i suoi cinque figli, NORA RA’CUNIGGHIE che con Cum-

ma Rsaria potevano completare quasi due squadre di calcio con

 

la loro figliolanza. Proseguendo più su, LUCIA A TATALON’ e

U’ VICCHIARIEDD’ e poi subito dopo U’ PIGNATAR’ sempre

con i suoi figli in una sola stanza e continuando, a casa I LIDD’.

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