TUTTI GLI UOMINI NASCONO UGUALI. QUALCUNO SOLTANTO DIVENTA GEOMETRA… | Estratto | Artisti di Borgo
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TUTTI GLI UOMINI NASCONO UGUALI. QUALCUNO SOLTANTO DIVENTA GEOMETRA…

Daniele Baldassarre

Absit iniuria verbis

Fatti, personaggi e luoghi di questo lavoro sono assoluto frutto della fantasia dell’autore. Lungi dall’intenzione di arrecare danno o nocumento ad alcuno, ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale e non ha alcun riscontro con la realtà.

Avuto presente che nella comunità rurale di Dragone al Colle le vite si trascinavano affannosamente tra la carne viva e gli odori della stalla, mi scuso anzitempo con chiunque possa ravvisare in questi scritti una minima offesa alla propria sensibilità.

Prologo

Quella vecchia valigia di cartone spesso, di un indefinito colore scuro, con gli spigoli rinforzati da cuffie del medesimo materiale fissate con borchiette cromate, era riposta, impolverata, sulla sommità di un antico armadio nella camera da letto di mio nonno, Francische gliù Buciarde.

Ancora adolescente mi incuriosiva quel contenitore posto lassù, inarrivabile per me che restavo stregato dalle due serrature a scatto, il cui solido aspetto riusciva a dissuadere chiunque da ipotetici intenti furtivi. La vita che animava quella stanza poi è passata, tutto è rimasto immobilizzato come su una vecchia foto virata seppia, la polvere ha fatto sedimento ovunque.

È trascorso circa mezzo secolo da quando ero rimasto affatturato da quella valigia.

Tempo fa mi sono ritrovato per altre ragioni in quella stanza; nella penombra pareva risuonassero ancora le voci di nonno che imprecava nei riguardi della consorte per futili contese coniugali, di nonna Donata che raccomandava prudenza al figlio, che si recava al lavoro con la Lambretta, oppure rimproverava, strattonandola, la figlia più piccola, che manifestava la sua riluttanza ad andare a scuola con modi maldestri e sgarbati. Aperte le imposte della stanza, le presenze che vi aleggiavano parvero dissolversi e ritirarsi nei mobili e in quegli oggetti familiari che si delinearono nel fascio di luce della finestra. Ed eccola là, la valigia, ora più vicina per via del nuovo punto di vista; potevo afferrarne il manico e tirarla giù. Senza alcun timore.

Come tanti contadini, Francische non aveva una grande familiarità con la gestione delle carte – che non fossero quelle napoletane –, considerata pure la sua limitata esperienza scolastica che, tuttavia, gli consentiva di leggere seppure stentatamente concetti semplici, scrivere il proprio nome e fare di conto.

La valigia conteneva, affastellate, le ricevute del dazio che si pagava su ogni attività produttiva: per la macellazione del maiale, per trasportare il grano al mulino, per la vendemmia ecc. In un altro mazzetto, contenuto in una vecchia busta gialla da lettera, c’erano le ricevute del veterinario e delle bollette della monta per la riproduzione dei bovini, le immancabili ricevute della fondiaria e della società agricola di mutuo soccorso di Dragone al Colle e alcuni “pagherò” evidentemente onorati. Un vecchio telegramma del 16 maggio del ’61 dava conto della nascita del primo nipote di Francische, e quindi lettere e cartoline varie provenienti soprattutto dai luoghi dove avevano prestato il servizio militare i figli. C’erano poi fotografie di vario genere: primi piani in posa di nonna, nonno, zii, cugini, alcune commissionate “perché non si sa mai…”, poi foto da un matrimonio, anzi da più matrimoni messi insieme in un’allegra, anacronistica confusione, e altre che immortalavano momenti di vita agreste al n. 1 di via Guglielmi. In un attimo tornarono alla mente voci, visi e ricordi che avevo dimenticato. Chissà quando. La trebbiatura, la vendemmia, il gregge di nonno, oramai confusi nella memoria; ma chiste è Giuseppe Leccazippe!, che per la sua parsimonia avrebbe tratto alimento leccando persino uno stecco di legno secco, Giuvanne Ricozze, ’Ndoniuccio de còrza in un momento di pausa dalle fatiche campestri, e poi tutte le Marie in ogni possibile declinazione: Maria la Morella, così chiamata per la sua carnagione bruna, Maria Pupettona, dalle forme procaci, Maria (G)Ròssa, Maria Capitano, pronipote di un soldato di ventura, Maria la Carunara, imparentata con una stirpe di carbonai ecc. Soggetti che qualcheduno (illuminato!) dotato di una modesta Comet Bencini ritenne di immortalare così.

C’era, tra le altre cianfrusaglie, una busta di grande formato, contenente un estratto di mappa su carta lucida con la visura catastale della proprietà di nonno, con su vergato con la sua scrittura incerta: Le ate carte e i strumenti li tène gliù giòmetra.

Da qui l’idea di promuovere un Geometra, un Agrimensore, un Saltafossi che dir si voglia, a protagonista di una storia.

Nel panorama della narrativa, dove l’attenzione è monopolizzata da eroi carabinieri, quando non sono poliziotti, avvocati o giudici da prima pagina, è improbabile imbattersi in un geometra protagonista. In ciascuno dei seguenti racconti è presente l’azione, ora catalizzatrice e centrale, ora secondaria e marginale, del professionista. Il personaggio incarna quella che il mio amico Pietro definì, in un annoso dibattito su questioni politiche locali, la “politica dei geometri” nel senso più deteriore della locuzione, per la singolare considerazione che il grottesco protagonista ha dell’urbanistica (case-fotocopia), dell’etica professionale (il Capotecnico del Cinque Per Cento), del diritto (usucapione) o della politica (il 1976).

...

Le trame degli episodi che seguono sono intessute su un ordito di vicende di paese (Dragone al Colle, provincia di Terra di Lavoro e dintorni, coordinate speculari: 41.554919 N, 166.396593 W oppure 41.554919 S, 13.603407 E; dipende dalla posizione dello specchio!) e di personaggi singolari che si muovono in un tempo indefinito a ridosso degli anni Sessanta e Settanta, con salti temporali a ritroso nel ventennio fascista e nell’ultimo dopoguerra.

Nelle piccole realtà ancora lontane dai modelli cittadini, il geometra è tutt’ora considerato un fondamentale riferimento la cui opera nell’ambito della comunità è complementare a quella del medico condotto e del prete, e assolve entro certi limiti le funzioni di avvocato, ingegnere, architetto o commercialista, non foss’altro che per l’incipit impegnativo e in qualche modo autorevole che le sue risposte consulenziali hanno sempre, del tipo “la legge dice”, “il piano regolatore prevede”, “la normativa tecnica stabilisce”.

Competenze acquisite il più delle volte a seguito di seri studi e appropriate pratiche professionali, ma che talvolta, invece, si riducono a locuzioni altisonanti che colpiscono l’uditorio, con sfoggio di ostentata ma vuota sapienza (quando si dice “Per stupire mezz’ora basta un libro di storia. Io cercai d’imparare la Treccani a memoria…”).

Lungi dal voler dissacrare la nobile professione di misuratore di terra che l’autore (ça va sans dire, geometra pure lui) considera un privilegio per coloro che la esercitano – quantomeno per le nobili origini della scienza agrimensoria risalente agli antichi Egizi e tramandata dai Greci e dai Romani fino ai giorni nostri –, con questi scritti si vuole dare risalto, in chiave satirica, a ciò che un professionista mai dovrebbe fare per sterile convenienza personale o per interesse di bottega, sullo sfondo di un piccolo mondo ormai declinato dietro l’orizzonte lontano del tempo…

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