Prima che sia troppo tardi
Ettore Pezzetti
Rientrarono senza troppa fretta, com’era ormai abitudine.
Si lavarono velocemente, poi si sedettero in terrazza, a contemplare il nulla, con addosso solo l’accappatoio, ognuno con la testa nei propri pensieri, prima di prepararsi e andare in trattoria per la cena.
Fu Jan il primo a parlare:
- Un soldo per i tuoi pensieri.
- Credo tu lo possa immaginare.
- Angie?
- Già.
Jan non sapeva ancora molto di Angie. Ale ne aveva appena accennato l’unico giorno che avevano trascorso interamente al mare.
- Lui è tutta la mia vita - riprese Ale, ad occhi bassi - anche se adesso ho conosciuto te. È un ragazzo straordinario, più maturo dei suoi coetanei, capace di scelte che ti fanno sbalordire - continuò, alzando lo sguardo e puntandolo in quello di Jan - quando, dopo la separazione, chiese una sorta di autoadozione ai miei, fu una cosa straordinaria. Ama di certo me più di ogni altra cosa al mondo, ma già allora si rendeva conto delle difficoltà che avevo a causa del lavoro che mi occupava e ancora mi prende tante ore - spesso all’estero - e non voleva più restare solo. Di nuovo, specie dopo la partenza di Shorty. La mia scarsa presenza non gli bastava e a me non andava di avere estranei per casa ad accudirlo, così da solo prese quella grande decisione di rivolgersi ai miei. Non che loro mancassero di esperienze, avendo allevato quattro figli. Ma un conto sono i propri figli, un altro i nipoti. Si trovarono quindi investiti di una grande responsabilità alla quale non erano di certo preparati. Ne rimasero spiazzati, sorpresi e tremendamente scossi, più che altro per il fatto che un ragazzino di quell’età chiedesse una cosa simile. Amava profondamente anche loro e ne fummo tutti felici, anche se con il cuore a pezzi per quegli strani, come dire, scambi familiari.
Aveva preso a gesticolare nervosamente, agitando nell’aria le mani, poi continuò.
- Fu sofferta appunto per le ragioni che avevano portato a quella scelta. Ma Angie decise, da solo, che voleva restare in famiglia, e quella era l’unica possibilità. Quella era la sua famiglia, la nostra famiglia. Non ci avevo pensato nemmeno io, colpevolmente. Era piccolo, ancora, quindi non si poteva parlare di adozione vera e propria. E i servizi sociali non lo vennero a sapere, per fortuna, augurandoci che nessuno facesse la spia in tal senso; avevamo timore di qualsiasi cosa. Per fortuna tutto filò liscio. Angie crebbe bello, sano, robusto, sportivo sotto lo sguardo vigile dei miei, che lo adoravano e lo assecondavano in tutte le sue scelte, scolastiche e non, perché si fidavano di lui e delle sue capacità di discernimento.
Io lo vedevo raramente, i miei pochi ritagli di tempo erano per lui e lui ne era felice e cercavamo di regalarci più tempo possibile. Capiva, e accettava. Ma quello che più mi rende ora felice è che posso sempre dire che è mio figlio. Adesso è solo mio. Fino a quando? Non lo so, crescendo farà le sue scelte. Per il momento però è così!
Jan non si intromise in quel monologo. Lasciò che Ale scaricasse tanta tensione accumulata e infatti, alla fine, ne seguì un lungo sospiro di sfinimento, lo sguardo nel vuoto. Quella confessione era stata liberatoria. Attese qualche secondo per far sì che il turbamento si quietasse un poco, poi rispose:
- Credo di non aver mai sentito una dichiarazione di affetto più profonda.
Ale riprese, con voce calma e tranquilla ma ferma e decisa, dopo quello sfogo.
- Ed il mio essere qui, ora, con te, dopo averti cercato per giorni, rinunciando a trascorrere queste vacanze il più possibile vicino ad Angie, ti deve dire quanto sia forte il sentimento che provo per te. - Ora lo so, l’ho capito - riuscì solo a rispondere, abbassando lo sguardo per non rivelare il proprio imbarazzo. Dopo quella grande lezione d’amore che gli aveva dato un genitore nei confronti del proprio figlio.
Lui non aveva figli.