La ragazza e il lupo | Estratto | Artisti di Borgo
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La ragazza e il lupo

Roberta Plebani e Autori vari

C’erano stati tanti giorni di sole in quell’autunno che pareva non voler finire mai. Ma poi, come si conviene, da che mondo è mondo, l’inverno la spuntò; le giornate si accorciarono, le foglie, seppur di malavoglia, abbandonarono i loro rami e il freddo fece la sua comparsa, stringendo le giornate nella sua lenta e

Così al lupo non restò altro da fare che scendere più a valle, nei pressi di un laghetto dalle acque immote, dove gli aghi dei larici, formando morbidi tappeti, rendevano felpati i suoi passi.

In primavera si era allontanato dal branco a causa di un bilancio che faceva risultare le ferite ricevute, di gran lunga maggiori a quelle inferte. Da principio non fu facile; più e più volte a trattenerlo dal ritornare sui propri passi, fu solo l’amor proprio. Poi, ad avere la meglio furono il senso di libertà, la possibilità di scegliere quale sentiero prendere - se procedere o arrestarsi - infine la meraviglia di sentirsi parte del tutto. Sensazioni che interpretò come una conferma del fatto di non essere adatto alla vita di gruppo, di non averne mai davvero fatto parte, e quelle ferite lo testimoniavano. Troppo spesso ancora gli capitava, ripercorrendone le profondità e fiutandone l’odore, di ricordarne i dolori.

Questo nelle notti buie, ma in quell’istante era giorno e il cielo grigio lasciava presagire neve; così si guardò attorno, cercando di imprimere nella retina quel che ancora restava dell’autunno, finché non iniziarono a cadere sul suo manto i primi fiocchi di neve, allora lasciò che la sensazione di stupore della prima neve lo pervadesse, allontanando per qualche istante la preoccupazione di cercare un rifugio per l’inverno.

Fu in quell’istante che la sua attenzione venne catturata dallo sfiato che usciva dal camino di un capanno al limite del lago e da una flebile luce al suo interno. Nonostante l’istinto gli suggerisse di andarsene, lasciò che a guidare i suoi passi fosse la curiosità. Così, mentre la neve confondeva i contorni delle cose e ne attutiva i rumori, si avvicinò al capanno cercando di scorgere chi potesse trovarsi al suo interno. Solo dopo aver individuato una giovane donna, all’apparenza innocua, proseguì nel suo intento, in quella prima notte di neve.

Al risveglio trovò il sole a illuminare la vallata completamente ricoperta dalla neve.

Il lupo aveva trovato il suo rifugio in un antro della roccia che si alzava a picco sopra il laghetto, un punto nascosto da dove poteva osservare senza essere visto. Di lì controllò ancora il capanno finché non vide la giovane donna dirigersi verso la legnaia. Decise di avvicinarsi, ma con cautela, come suggeriva il suo istinto. Quando giunse in un punto abbastanza lontano per poter fuggire, ma abbastanza vicino per poter vedere la legnaia, la ragazza era già rientrata. A giudicare dalle impronte lasciate lì intorno, all’interno del capanno non vi era nessun altro. Volendo verificare l’esattezza della sua supposizione, il lupo trascorse alcuni giorni in appostamento finché la sua ipotesi non trovò conferma. La ragazza era davvero sola. Allora, abbandonata un po’ della sua cautela, prese ad avvicinarsi ogni giorno di più pur di udire il canto sommesso della ragazza, fiutarne l’ odore e spiarne i gesti, come quando, intenta a scrivere, trascorreva lunghe ore al lume di una candela alla ricerca del delicato equilibrio e dell’elegante sinergia che la composizione delle parole richiede, senza che lui potesse comprenderne il motivo e tantomeno la necessità.

Ora lei viveva nell’assenza di rumore di quei boschi innevati, bramandone il silenzio, ma in passato non era stato così. Un tempo aveva amato le parole, le diversità e le uguaglianze che queste erano in grado di evocare, unitamente alla condivisione e al senso di appartenenza che ne derivava. In senso metaforico, la ragazza amava l’idea di appartenere a qualcuno e che qualcuno potesse appartenere a lei.

Poi un giorno qualcosa cambiò. Sempre più spesso cominciò a percepire attorno a sé parole soggettive, fini a se stesse, rivoltate, smembrate e spogliate della loro essenzialità, del loro scopo comunicativo. Fu così che delusa, non solo dagli altri, ma ancor più da se stessa, decise di ritirarsi nel bosco e di iniziare a scrivere. Parole che restavano sul foglio, là dove venivano sparse, senza la pretesa di essere comprese e il pericolo di essere fraintese, in un paesaggio, all’apparenza immobile, dove a mutare era soltanto il livello della neve.

La ragazza faceva spesso passeggiate nel bosco e se dapprima questa consuetudine spingeva il lupo a indietreggiare, in seguito, gli restituì l’ardire della sua natura. Fu così che un giorno inevitabilmente i loro sguardi si incrociarono. Quel pomeriggio la neve scendeva lenta e silenziosa, come sempre. Per un istante, quello in cui l’adrenalina viene rilasciata nel corpo degli uomini come in quello degli animali, le loro pupille si dilatarono e i loro muscoli, pronti alla fuga, si contrassero, ma nessuno dei due si mosse. Restarono così, l’uno di fronte all’altra, mentre i cuori rallentavano a fatica la loro corsa e la respirazione si placava, ritrovando il ritmo di sempre. Poi la ragazza allungò la mano lentamente, il palmo rivolto verso l’alto perché il lupo potesse avvicinarvi il muso, senza nulla da temere. Ciascuno di essi cercò degli elementi che potessero confermare la sensazione di fiducia reciproca da cui si sentivano stranamente pervasi. Lui annusò quella mano e ne categorizzò l’odore. Lei cercò il suo sguardo e lo interpretò

Era ciò di cui entrambi avevano bisogno; ritrovare fiducia dentro e fuori di sé.

Capita, a volte, di diventare diffidenti. Capita a tanti, forse a tutti, prima o poi. I più coraggiosi, non avendo perso del tutto la speranza, riescono a confidare ancora nel prossimo. Chi invece, avendo confidato per lo più nei propri ideali, si vede tradito, finisce coll’allontanarsi da tutti.

Così era successo alla ragazza e al lupo.

Ma l’universo è benevolo e per fare in modo che tutta quella fiducia non venga dispersa, la canalizza altrove, anche attraverso linguaggi e alfabeti diversi. Dunque fu come se il lupo riuscisse a leggere le pagine più segrete dell’ animo della ragazza, facendogliele comprendere. Nessun essere umano era mai riuscito a tanto. Negli occhi della ragazza il lupo lesse la storia dell’uomo, declinabile nelle peggiori nefandezze come nei più autentici slanci di generosità, e comprese che si trattava di una superiorità solo apparente rispetto agli animali.

Spesso la ragazza e il lupo furono visti insieme dagli abitanti della valle in quel primo inverno e in quelli che seguirono. Girovagavano tra i boschi, l’una a fianco dell’altro. A suggellare la loro amicizia nessuna parola, solo quella presenza costante e quel silenzio che diventava fonte di conoscenza prima di se stessi e poi dell’altro, un po’ come nell’amore che non può essere esteso ad altri, se prima non affonda le proprie radici nell’amore di sé.

Di tanto in tanto, qualcuno partiva da lontano per vedere di persona i protagonisti della “storia” che già si raccontava, nei villaggi di montagna come in quelli del fondovalle, della ragazza che aveva addomesticato un lupo, o viceversa.

Poi un giorno di primavera il lupo incappò, non si sa se per caso o per scelta, nel suo vecchio branco. Con prudenza, quando ancora non sapeva se darsi alla fuga o avvicinarsi, cercò le sue vecchie ferite, ma faticò a trovarle. Le più superficiali erano sparite del tutto e le più profonde nascoste dal manto argentato, si erano ormai rimarginate.

Quando venne accerchiato dai compagni, festosi per averlo ritrovato, il lupo si accorse di provare una sensazione di felicità intensa e pungente, assai diversa dalla serenità pacata, che provava al fianco della ragazza. Allora comprese che il tempo dell’isolamento era terminato, scalzato dal bisogno di tornare a far parte del branco per poter provare nuovamente quella gioia che non può fare a meno di prendere forma se non attraverso la delusione e la speranza.

Ma prima doveva tornare un’ultima volta dalla sua giovane amica.

Era ormai quasi sera, quando giunse al capanno. La ragazza era seduta sulla sua sedia a dondolo, intenta a seguire gli ultimi raggi di sole che si nascondevano dietro la montagna. Le si avvicinò e le si accucciò ai piedi e lei gli accarezzò la testa, con gesti lenti e dolci, come in quella prima sera d’inverno.

Poi lei fece una cosa che non aveva mai fatto, gli parlò. Cominciò a parlare di sé con parole che i lunghi silenzi avevano però già rivelato. Anche lui provò a parlarle, nel suo alfabeto, fatto di sguardi, posture ed espressioni, ma anche le sue parole risuonarono come già dette.

Compresero allora che i loro silenzi non necessitavano di parole. E se per il lupo era giunto il momento di rientrare nel branco, anche per la ragazza era giunto il momento di fare ritorno nel mondo degli uomini. Teneva, infatti, tra le mani una lettera ricevuta proprio quel giorno. Nel leggerla aveva percorso tutte quante le sue ferite, ma come era stato per il lupo, nel momento in cui le aveva cercate, aveva faticato a trovarle. A differenza dell’animale però, la sua pelle liscia e glabra lasciava ancora intravedere qualche cicatrice, come monito, affinché non commettesse più gli stessi errori.

Il tempo trascorso insieme li aveva cambiati. Ora per entrambi, quell’isolamento considerato inizialmente come una conquista, doveva trasformarsi in un atto di coraggio, ancora più grande. Il loro posto, ora lo sapevano, era nel mondo, dove dovevano tornare, più forti di prima.

La ragazza e il lupo si guardarono negli occhi, ancora una volta. Uno sguardo colmo di affetto e denso di gratitudine per il grande dono che reciprocamente avevano saputo scambiarsi.

Entrambi avevano perso la fiducia, forse ancor prima che nei propri simili, in se stessi, ritrovando, sulla propria pelle, quasi vi fossero cuciti sopra, quegli stessi difetti che con tanta ostinazione vedevano e disapprovavano negli altri. Questo il motivo per cui avevano dovuto allontanarsi in solitudine, per perdonare prima di tutto se stessi. Il passo successivo era stato quello di vivere in armonia con la natura, seguendone i ritmi, assecondandone gli istinti e apprezzandone i doni.

C’erano state tante giornate tiepide in quella primavera che dava l’impressione di voler anticipare l’estate con l’innocente insolenza che è tipica di ciò che è nuovo.

Gli ultimi raggi del sole lambivano le cime dei larici mentre il vento, nell’atto di farle ondeggiare, tentava di avvicinarle. A terra, teneri fili d’erba ricoprivano il prato, punteggiato qua e là dai variopinti fiori di montagna. Tra i rami degli alberi era tutto un saliscendi di piccoli scoiattoli. Neppure gli uccellini, quella sera, sembravano dare segni di stanchezza e proseguivano, tenaci, nei loro canti d’amore iniziati all’alba. Sui tronchi delle piante, i cervi più maturi, quelli destinati all’accoppiamento, strofinavano con forza il loro capo, nell’atto di placare il tormento causato dalla ricrescita dei loro palchi. Al limite del laghetto, alcuni pastori erano impegnati nella transumanza del bestiame. Poco sopra il capanno, su una bocchetta tra due montagne, in festa, l’intero branco attendeva il lupo. Ad attendere la ragazza, invece, non c’era nessuno. Ma si sa, le relazioni tra gli uomini sono molto più complicate da gestire rispetto a quelle tra gli animali.

Ecco il momento era giunto. La ragazza e il lupo dovevano salutarsi. Dagli occhi color ghiaccio del lupo grigio scesero alcune lacrime a rigargli il muso, le asciugò con il palmo della mano la ragazza prima di inginocchiarsi a terra e stringerlo, stretto stretto, tra le sue braccia.

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