Il testamento di Mujo Morales | Estratto | Artisti di Borgo
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Il testamento di Mujo Morales

Roberta Plebani

Per una sorta di anacronismo cronologico, a volte capita che all’interno di comunità, un'anima venga attraversata dall'insolito rispetto ai suoi tempi. Non si tratta di un vero e proprio errore, ma di una svista; un'anticipazione del pensiero che sarà e dei tempi che verranno.

Greta Molinari era una di queste anime. Ben educata e di bell'aspetto, aveva, agli occhi di molti, non solo dei suoi famigliari, un'apertura verso i diversi e un garbato distacco verso i pari, del tutto inusuale per il suo tempo.

Se da bambina, ai giochi con i suoi pari aveva preferito le passeggiate nei boschi con la sua giovane balia, giovanetta aveva anteposto alle tediose conversazioni con gli ospiti della stazione termale, quelle più vivaci con i contadini, le cui storie non trovava scritte nei libri.

“Se ti voret pàn porta l’ingrass! Eh, signorina Greta, lei non parla il dialetto, per cui cercherò di ripetere la frase in italiano, ma così perde molto, mi creda.”

“Se vuoi veder crescere il pane procurati il giusto concime.” La traduzione azzardata di Greta.

“Sì, signorina, ma non solo. Come le dicevo, il dialetto rende meglio l’idea. Se ti voret pàn porta l’ingrass significa che occorre saper adattarsi a qualsiasi lavoro pur di guadagnare qualcosa.”

“Certo che il dialetto possiede maggior forza rispetto alla lingua italiana. È più genuino.”

“Dice bene lei, ma noi altri contadini lo viviamo in un altro modo. Per alcuni, non conoscere bene l’italiano è motivo di vergogna. Io me la cavo perché ho la seconda elementare, ma non tutti hanno avuto questa fortuna.

Non fosse stato per Annetta che le ricordava di tornare in albergo, Greta avrebbe proseguito quelle conversazioni sino a sera. Altre volte, ad incuriosirla erano i racconti del passato, come quello dei fatti miracolosi del 1522.

“E’ l’8 di gennaio quando l’Antognina de Zacchei vede sanguinare il quadretto della Santa Pietà. Ma lei di sicuro lo sa. Così come sa che è stato il Cardinale Carlo Borromeo a chiedere la costruzione del Santuario dove, ancora oggi, sono custodite le reliquie”

“Sì, mio padre racconta spesso ai suoi ospiti quali e quanti benefici il Cardinale Borromeo trasse dalle nostre acque durante la sua visita pastorale. Ma mi racconti di Antognina, quanti anni aveva?”

“Era poco più piccola di lei, signorina. All’incirca tredici anni.”

“Si spaventò?”

“Questo non glielo so dire, signorina. So che ha chiamato sua madre l’Elisabetta e che, nonostante l’ora tarda, la casa si è riempita di persone. Quella prima sera il quadretto sanguina soltanto. La costola si stacca la notte dopo, quando suo padre, il Tommaso manda a chiamare i preti di Cannobio. Arrivano in tre, e uno di loro, se non ricordo male, un tale Bernardino, mette la costola in un calice, raccoglie i pannetti intrisi di sangue e porta le sacre reliquie in processione sino alla Chiesa di San Vittore.”

“E Antognina che fece poi? Si fece suora o si sposò?

“Questo non lo so proprio, signorina.”

Le rispondeva dispiaciuto il Menico, stringendo tra le mani il berretto che si era levato dal capo in segno di rispetto.

Le conversazioni con i contadini non potevano durare a lungo, ma riprendevano spesso nel punto esatto in cui erano terminate. Tra tutti, il Menico era quello che la sapeva più lunga. Sulla sessantina, godeva alcuni privilegi agli occhi del padrone che gli permettevano di intrattenere la signorina Molinari più degli altri braccianti.

Nessuno, dunque, nemmeno i suoi ricchi genitori, avrebbe dovuto scandalizzarsi tanto, quando l'insolito bucò la storia e lei si innamorò di un giovane zingaro.

In effetti, si trattava di un futuro già scritto, di un buco già presente nella trama.

“Ma dove sei stata fino adesso? I tuoi genitori ti stanno cercando da ore!”

Agitata e rossa in viso, quasi quanto lei, con garbo Annetta sospinse la ragazza verso l’albergo, non prima di averle tolto qualche fogliolina secca dagli abiti e dai capelli. Gesto che compì scrollando la testa in segno di disappunto.

Greta era a Milano, quando alla stazione termale si presentò il signor Umberto accompagnato dalla figlia Anna. Nata, per un capriccio del destino, a distanza di una quindicina d’anni dai suoi cinque fratelli, quando i genitori erano già avanti con gli anni, la ragazza venne da subito soprannominata Annetta per il suo aspetto minuto e i suoi modi delicati.

“Buongiorno signora Molinari, come sta?” Chiese Umberto alla donna elegantemente vestita che li attendeva sulla terrazza alberata dell’Albergo Carza; al termine di un imponente scalinata in sasso.

“Non c’è male, signor Albertini. E lei?” chiese per educazione la signora Molinari. Quindi, senza nemmeno attendere la risposta, si rivolse direttamente alla giovanetta.

“Sei proprio diventata una signorina!”

La signorina in questione sorrise compiaciuta.

“Mio marito vi sta aspettando nel suo studio. Seguitemi.”

All’interno dell’albergo, nel grande atrio illuminato da alte finestre, il pavimento di marmo rosa tea si intonava perfettamente con i divanetti e le poltroncine color porpora e avorio, disposti ai lati di una lunga passatoia che conduceva all’elemento di arredo più appariscente dell’ambiente, un’imponente scala di marmo bianco. Accanto ad una vetrata, una donna, probabilmente un’ospite, strimpellava qualche nota al pianoforte, fagocitando l’attenzione di tutti i presenti, compresi gli ultimi arrivati.

Nel suo studio, il dottor Molinari accolse con benevolenza l’allevatore, da anni suo prezioso fornitore di carni, uova, burro, panna e formaggi.

“Ebbene Umberto, cosa ti ha portato fin qui con la tua figliola?”

“Dottor Molinari, lei sa che ormai da molti anni, tutti in famiglia, comprese le mie nuore, ci dedichiamo a coltivare la terra e ad allevare il bestiame. Annetta no, lei vorrebbe fare altro. Vorrebbe studiare. Che assurdità! Il mondo va male perché la gente non sa stare al proprio posto. Gliel'ho ripetuto tante volte.” Riferì Umberto, sfregandosi le mani e abbassando lo sguardo, in segno di deferenza. quando incontrava quello del suo interlocutore.

“Avessi ancora l’energia che avevo quando ho cresciuto i suoi fratelli non saremmo qui a chiederle un grosso favore.”

Annuendo con la testa, il dottore lo incoraggiò a proseguire.

“Ecco, io e mia moglie abbiamo sentito che state cercando del personale per la nuova stagione. Dunque, ci chiedevamo, se non aveste un posto per questa nostra figliola. Una buona figliola, a dire il vero, ma un po’ testarda.”

Il dottore si rivolse ad Annetta:

“Dunque non ti piace lavorare la terra?”

La ragazza raddrizzò la schiena prima di rispondere.

“Sono già in tanti a occuparsi della terra e degli animali nella mia famiglia. Io vorrei imparare a fare altro. Non so se per lei sia un buon motivo. In principio non lo era neanche per i miei genitori, ma ora io e mio padre siamo qui e questo significa che lui ha capito.”

Al Molinari, avvezzo all’ossequiosità del personale dell’albergo e di molti in paese, quella risposta, schietta ma comunque rispettosa, piacque.

“E sia! Ti troveremo un impiego, qui in albergo o alle terme, poi decideremo. Ma bada, pretendo il massimo da te.”

Annetta, felicissima, promise di impegnarsi a fondo.

Era mercoledì 28 febbraio 1883.

“Ti aspettiamo qui, lunedì prossimo, alle otto. Molti clienti arriveranno attorno alla metà del mese. Avrai qualche giorno di tempo per imparare l’essenziale, il resto verrà da sé!”

Poi, rivolto a Umberto:

“La tua figliola ha qualcosa in comune con la mia.”

Poi si rivolse ad Annetta.

“La conoscerai presto. Arriverà in occasione delle vacanze pasquali. Per poter studiare, durante l'anno scolastico vive a Milano, presso la sorella di mia moglie.”

Come aveva previsto il dottor Molinari, quando le due giovani si conobbero, simpatizzarono subito, tanto che, dopo essersi occupata della biancheria nel padiglione dei bagni e in quello della piscina, di pomeriggio ad Annetta venne affidato il compito di tener compagnia a Greta

Nei pressi dell’albergo viveva, ormai da tempo, una colonia di gatti che proliferava grazie agli avanzi di cibo che i cuochi gettavano tra i rifiuti. Già da piccola, Greta amava passare il suo tempo in compagnia di quegli animali che disdegnavano delle loro attenzioni tutti quanti, persino i cuochi, tranne lei.

Quell'estate, tra le gatte gravide, ce n’era una dal manto rosso, con occhi dissimili e sempre incispati, di nome Rossella.

Dopo averla cercata per tutta la mattinata, solo nel primo pomeriggio Greta trovò Rossella nella serra, in avanzato stato di travaglio. Pur sapendo di non poter fare nulla per aiutare la povera gatta, la ragazza andò alla ricerca di Annetta.

“Non spaventarti, tutte le mamme stanno male prima di mettere al mondo i loro piccoli!” Fu il commento della ragazza che arrivò portando sottobraccio degli stracci, scarti provenienti dalla lavanderia dell’albergo.

Distesa su un fianco, la gatta contraeva ritmicamente il ventre, ritraendo le zampe posteriori. Poco dopo, un liquido trasparente, venato di rosa, colò sullo straccio bianco posato dalle ragazze.

“Segno che i cuccioli stanno per nascere!” Spiegò Annetta.

Quando Rossella, da sdraiata che era, si alzò sulle zampe posteriori, le ragazze videro fuoriuscire il primo gattino, piccolo e biancastro, ancora avvolto nel suo sacco placentale. Dopo averlo ripulito per bene, Rossella si nutrì di quello stesso sacco e così fece anche quando si presentò il secondo gattino, un'oretta più tardi.

Prima di cena, la gatta prese ad allattare i suoi cuccioli. Solo in quel momento, quando tutto era ormai concluso, Annetta si rese conto che i signori Molinari avrebbero potuto trovare qualcosa da ridire in proposito. Il dubbio che l'assistere a quel parto avrebbe potuto turbare la ragazza, purtroppo non l'aveva nemmeno sfiorata, abituata com'era a vivere in una masseria. Ora non le restava altro da fare che parlarne a Greta.

“Io non ho mai visto nulla di più bello!” - Fu il commento della ragazza – “La natura è davvero saggia, governata dalle leggi dell'amore e dell'istinto. Non so esattamente cosa abbia messo in moto tutto quanto, ma vorrei tanto saperlo. Cosa che farò attraverso lo studio.”

“E quando lo saprai, avrai il tempo e la voglia di spiegarlo anche a me?” Chiese Annetta, dubitando in cuor suo, che quel tempo sarebbe mai arrivato, nonostante le rassicurazioni della sua giovane amica.

Non si trattava di sfiducia nei suoi confronti. Fin dai primi giorni si era resa conto di trovarsi di fronte a una persona diversa da tutte quelle che aveva conosciuto lì, in albergo. La sua gentilezza e il suo interesse nei confronti delle persone, di qualsiasi persona, erano autentici. Ferma nelle proprie idee, non cedeva a compromessi, sostenendo con uguale convinzione tanto un sì, quanto un no. Anche i signori Molinari cercavano di essere gentili, ma i loro gesti, sempre controllati e mai spontanee, la loro voce, sempre altera e mai misurata, li smentivano di giorno in giorno.

Accompagnata da Annetta, Greta faceva lunghe passeggiate in montagna. Le direzioni erano diverse; la cima del monte Carza, da cui l'albergo prendeva il nome, oppure “La villa Badia”, antica abbazia vallombrosana di S. Eusebio, da poco trasformata in albergo, e poi ancora più in su, verso i campi coltivati di Viggiona e Trarego, piccoli paesi posti in quota, a dominare il lago. Nella direzione opposta, i sentieri si addentravano in valle Cannobina, così ombrosa da essere soprannominata Val Tupa, cioè buia. Non così i suoi numerosi paesi, posti ad altitudini crescenti lungo la mulattiera che la percorreva, congiungendo, attraverso gole e strapiombi, Cannobio alla valle Vigezzo e a quelle Ossolane.

Durante queste passeggiate, le ragazze avevano avuto modo di conoscersi, scoprendosi, per alcuni versi, molto simili.

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