Il fattaccio di via dei Fabbri
Silvana Traversi
La possibile storia...
In Via del Coro, al numero 22, nel mese di marzo del 1951
venne al mondo Maria Pia. Mamma Gisella aveva partorito pre-
cedentemente due maschi: Roberto, che ora aveva cinque anni, ed
Anselmo di tre. Le due nonne, materna e paterna, quando nacque
la femminuccia vollero entrambe che le fosse messo il loro nome.
Maria, mamma di Gisella, vedova da tanti anni, di origini con-
tadine, vissuta in campagna senza mai risparmiarsi nel lavoro,
con grande dolore dopo la morte del marito Virgilio Scalabrelli
aveva dovuto lasciare tutto per venire ad abitare a Piancastagnaio,
appunto in Via del Coro al n° 22, nella casa della sua unica figlia
e del genero Giacomo Venturini, lavoratore indefesso, onesto e
generoso.
Pia, madre di Giacomo, minuta donna scaltra ed intelligente,
era invece rimasta vedova da poco. Suo marito, Franco Venturini,
aveva insegnato per tanti anni alle Scuole Elementari di Pianca-
stagnaio, ed era stato amato da tutti gli alunni che avevano segna-
to quei vecchi banchi. La sua morte aveva lasciato un vuoto in-
colmabile nella scuola. Un cancro se l'era portato via in pochi
mesi.
Quando nacque Maria Pia, fuori c'era una tormenta di neve.
Giacomo aveva preparato per tempo fascine di legna per accende-
re il fuoco giorno e notte affinché Gisella non patisse il freddo al
momento del parto.
La levatrice del paese, ben esperta nella sua professione, tirò
fuori la piccola perfino con facilità. Ci fu letteralmente un urlo di
gioia da parte di Giacomo che desiderava tanto una femmina.
La piccola cresceva coccolata da tutti, anche dai fratelli che al-
l'inizio, soprattutto Anselmo, ne erano stati davvero gelosi.
Maria Pia si faceva amare, la si sentiva solo quando aveva
fame e voleva dormire, le nonne facevano a gara a raccontarle
storie inventate e vere come se la piccola già capisse.
Giacomo, la bambina poteva godersela davvero solo la dome-
11nica, gli altri giorni era sempre in miniera, quella del Siele, per
poter portare un pezzo di pane a casa. La famiglia era tutto per lui
e con quelle bocche da sfamare, essendo l'unico il suo stipendio,
era davvero dura: nonostante tutto nella casa non mancava niente,
anche perché le donne erano parsimoniose e sapevano come man-
dare avanti la famiglia dignitosamente, arrangiandosi anche con
qualche lavoretto di cucito.
Gli anni passavano velocemente, Maria Pia ne aveva già com-
piuti tre quando nonna Pia fu trovata morta nel suo letto – proprio
quella mattina di maggio, nonna Pia sarebbe dovuta andare a si-
stemarsi i capelli dalla parrucchiera per farsi bella, per festeggiare
il suo settantottesimo compleanno. Al medico condotto, accorso
subito al suo capezzale, bastò toccarla per capire che era morta
nel sonno durante la notte. Fu diagnosticato un infarto.
Giacomo non si dava pace, avrebbe accettato la morte della
mamma se fosse stata ammalata, ma fino alla sera prima l'anziana
donna aveva fatto dei progetti insieme ai famigliari.
Gisella gli fu vicina con dolcezza e comprensione, come del
resto la suocera Maria.
I ragazzi quando la videro distesa sul letto con il vestito buono
e le scarpe che doveva ancora rinnovare, le si avvicinarono cre-
dendo che fosse lì per fargli uno scherzo come d'abitudine quando
giocavano insieme. Nonna Maria li prese accanto a sé cercando di
spiegargli che la loro nonna Pia era andata in cielo e da lassù li
stava guardando. Roberto, però, piangendo disse che non era vero
perché i morti non guardano più nulla.
La vita dei Venturini e di nonna Maria proseguì serena.
Maria Pia si distingueva per la sua viva intelligenza dai suoi
coetanei, compresi i fratelli: aveva qualcosa di diverso, ed anche i
genitori se ne meravigliavano.
All'età di otto anni le bastava leggere una poesia o un racconto
che riusciva a ripeterli come se li avesse studiati per ore. A volte
ci metteva anche del suo. I ragazzi la prendevano in giro chia-
12mandola secchiona, così la bimba si trovava a giocare da sola in
casa o fuori in disparte. A dire il vero neanche i suoi fratelli ne
apprezzavano il comportamento.
Era il 15 luglio, piena estate, quando venne ad abitare vicino
casa Venturini un ragazzino, apparentemente coetaneo di Maria
Pia, dall'aspetto malaticcio, con tanto di occhiaie e carnato bianco
come un cencio lavato.
Gisella, quando lo vide seduto sullo scalone di casa da solo e
con l'aria triste gli andò incontro salutandolo.
«Ciao bimbo, tu saresti il nuovo venuto nella casa dei Manzo-
ni? Come ti chiami?»
«Buongiorno signora, mi chiamo Leonardo ma tutti mi chia-
mano Leo.»
Gisella rimase sorpresa nel sentirsi rispondere con così sponta-
nea educazione.
«Allora Leo, sei il benvenuto. Hai dei fratelli, sorelle... e quan-
ti anni hai?»
Il ragazzino non si mosse da quella posizione ma con il suo
sguardo fisso su Gisella le rispose che era figlio unico e aveva
otto anni: «La mia mamma si chiama Giuditta e il babbo Guelfo...
i miei nonni sono in paradiso».
Gisella gli si avvicinò di più per accarezzargli il capo – il bim-
bo aveva le toppe ai ginocchi dei pantaloni logori e una maglietta
scolorita, le suole dei sandali erano bucate, ma il suo viso era pu-
lito come la testa rasata e mandava un buon profumo di saponetta.
«Leo, ti piacerebbe conoscere mia figlia Maria Pia? avete la
stessa età, lei quest'anno fa la quarta elementare... andrete a scuo-
la insieme. Ho altri due figli più grandi, Roberto il maggiore e
Anselmo. Io mi chiamo Gisella, e mio marito Giacomo... e poi c'è
nonna Maria. Questa è la nostra famiglia, se un giorno vuoi veni-
re a farci visita ne saremo felici: abitiamo proprio qui di fronte.»
«Lei, signora, è molto gentile. Stasera, quando rientra il mio
babbo gliene parlo, così se vorranno venire anche loro a fare la
vostra conoscenza...»
«Leo, per favore dammi del tu – potresti essere mio figlio.»
13«Con piacere. Dove è Maria Pia?»
«Dev'essere nella sua camera a giocare. Aspetta che le do una
voce.»
Gisella dovette chiamarla più volte, alzando il tono, prima che
Maria Pia rispondesse.
Quando scese in strada, la ragazzina si accorse che accanto
alla mamma c'era un bimbo che non aveva visto mai in paese.
Leo le andò incontro con imbarazzo, gli si erano già arrossate le
guance quando le chiese se voleva giocare con lui.
Maria Pia rispose subito di sì: solitamente i suoi coetanei non
la volevano fra i piedi.
Come fossero stati amici da sempre, si presero per mano e si
avviarono verso la porta del Coro, oltre la quale si trovano i vec-
chi lavatoi dove le donne vanno a fare il bucato... e soprattutto a
chiacchierare e magari sparlare.
Gisella guardandoli tirò un sospiro di sollievo, si augurò che
Leo non si stancasse delle fantasie che la sua bimba tirava fuori
ogni giorno.
Maria Pia si può dire che da sempre vivesse in un mondo tutto
suo, fantasticava su qualsiasi argomento. Anche a scuola la mae-
stra la doveva riprendere per i suoi voli; in casa poi quando rac-
contava qualcosa che diceva di avere visto o sentito, non si capiva
mai se fosse vero o una sua invenzione. Era talmente viva la sua
immaginazione che perfino lei stessa talvolta pareva non riuscisse
a distinguere la realtà dalla fantasia. La ragazzina eccelleva non
solo per intelligenza, ma anche per la chiara bellezza interiore che
emanava, soprattutto quando sorrideva. Il suo aspetto fisico era
quello di una bambina come tante altre della sua età: occhi neri,
capelli neri e mossi che non riusciva mai a mantenere pettinati in
ordine, bocca grande coi denti un po' sporgenti... un volto e un
modo di fare che risultavano immediatamente simpatici.
Gisella si lamentava sempre col suo Giacomo della piccola,
era preoccupata per il suo avvenire. Lui, con calma, la rassicurava
dicendole che la loro bimba crescendo avrebbe di certo smesso
di sognare ad occhi aperti – nonna Maria ripeteva a sua figlia,
14ogni volta che entrava in argomento, che Maria Pia era come lei
quando era piccola... piena di fantasia.
«Come vedi, crescendo io sono diventata una musona a tal
punto che, me ne rendo conto, a volte ci vuole il forcone per tirar-
mi fuori le parole.»
Ascoltandoli, la Gisella si rassicurava.
Leo si era presentato a Maria Pia come un vero ometto dicen-
dole che era molto felice di diventare suo amico. Lei pure era
contenta di avere finalmente qualcuno che l'ascoltasse.
«Come mai siete venuti ad abitare qui a Piancastagnaio, dove
stavate prima?» domandò curiosa Maria Pia mentre gli preparava
con la terra e un po' di erba il pranzo mettendolo con cura dentro
ad alcuni cocci trovati sulla strada.
Leo la guardava mentre preparava quell'intruglio, sperando
che non gli proponesse di assaggiarlo per davvero.
«Posso dirti che mio padre lo hanno chiamato per lavoro. La
mia mamma è in pensiero da stamattina per l'esito del colloquio,
sta con la speranza che venga assunto in pianta stabile. Io sono
uscito di casa... l'aria che si respirava era di un nervosismo da af-
fettare. Non so che ore siano, ma tra poco devo rientrare altrimen-
ti la mia mamma sta in pensiero.» Intanto faceva finta di tirare
giù quella specie di minestra che lei gli aveva offerto.
«Lo sai Leo, parli molto bene, i tuoi ti hanno insegnato come
usare i verbi, devono essere gente che ha studiato... i miei genitori
hanno fatto solo la quinta elementare... però se la cavano più che
dignitosamente. Allora, mi vuoi dire il tuo paese d'origine?»
«Sono nato a Cagliari, anche i miei genitori sono cagliaritani.
Con gli anni abbiamo cambiato tanti posti, sempre in Sardegna,
per via del lavoro: un giorno mio padre ha deciso di venire nel
continente per avere la possibilità di trovare un'occupazione mi-
gliore. Ma non è stato facile, anche qui si è dovuto accontentare
di lavori saltuari per portare un pezzo di pane a casa e pagare le
bollette e l'affitto. Un tempo i miei nonni paterni erano benestanti,
avevamo molte terre... la guerra ci ha portato via tutto, anche la
15speranza. Come per molti, è arrivata la miseria. Mia mamma è
maestra delle scuole elementari e mio padre è un perito chimico.
Sono stati loro ad insegnarmi la grammatica e a farmi capire il
valore dello studio nella vita dell'uomo. Ora devo andare, vieni
anche tu? Altrimenti ci vediamo domani, così mi racconterai di
te.»
«Vengo anch'io, lavo i piatti e ti accompagno a casa.»
Tornarono mano nella mano. Due ragazzacci, vedendoli arri-
vare in quel modo presero a canzonarli dicendo loro che erano fi-
danzati e che li avevano visti baciarsi. Pia e Leo invece di arrab-
biarsi si misero a ridere.
Arrivati davanti casa, trovarono Gisella che stava conversando
con la mamma di Leo: furono felici entrambi, vedendoli insieme.
«Leo, ti piace questo paese?» gli chiese Gisella.
«Non lo so ancora, siamo appena arrivati alle fonti e ci siamo
messi a giocare. Ho notato che ci abitano tanti ragazzi e ragazze.
Mamma, mica sei arrabbiata perché mi sono allontanato senza av-
visarti?»
«Perché dovrei arrabbiarmi? so che hai trovato un'amichetta
della tua stessa età e ne sono felice. Vuoi presentarmela?»
«Scusami mamma, questa è la mia amica Maria Pia.»
Pia si avvicinò mostrandole il suo sorriso aperto, dopodiché le
chiese se l'indomani sarebbero potuti andare a fare un giro per il
paese. Giuditta le rispose di sì, purché non si allontanassero trop-
po.
Leo all'improvviso prese a correre su per la via che porta alla
piazza dell'Orologio: aveva visto babbo Guelfo che faceva ritorno
a casa. Giuditta lo guardava fisso negli occhi, voleva cogliere in
lui, anche se non ancora vicino, il suo stato d'animo. Furono atti-
mi interminabili – quando finalmente le fu davanti, l'abbracciò e
le disse che ce l'avevano fatta.
Guelfo prese in braccio il figlioletto e lo strinse a sé. Leo ogni
volta che era fra quelle braccia, essendo il suo babbo alto più di
un metro e ottanta, si sentiva in cima al mondo.
Maria Pia li osservava attenta, quasi volesse fare propri ogni
16gesto, ogni emozione. Osservava soprattutto Guelfo, alto, magro,
capelli neri ondulati, pelle olivastra, i lineamenti del viso raffina-
ti... gli indumenti che indossava erano stinti e quasi lisi, eppure li
portava con tale grazia da farlo sembrare elegante.
Gisella, accorgendosi che in quel momento era di troppo, pre-
ferì rientrare in casa, rispettandone la riservatezza.
Maria Pia per un attimo si sentì esclusa. Leo, vedendola andare
via senza salutarlo, rimase deluso – sceso dalle braccia del babbo,
prima che la sua amichetta sparisse la chiamò. Lei, voltandosi, gli
rispose: ci vediamo domani.
Una volta in casa, andò a rannicchiarsi in un cantuccio vicino
al focolare, com'era solita fare quando era triste e malinconica.
Nonna Maria, che aveva capito, le andò vicino rassicurandola che
Leo non era come gli altri ragazzi scorbutici o addirittura maledu-
cati: l'indomani sarebbero sicuramente tornati a giocare insieme.
Pia guardandola le chiese dove fosse il suo babbo.
«L'ho visto uscire che andava con i tuoi fratelli a portare il be-
verone al maiale, gli volevi dire qualcosa di importante?»
Pia rimase di nuovo in silenzio, poi riprese: «Volevo che mi
prendesse in braccio... è tanto tempo che non lo fa, il babbo di
Leo...»
La mamma stava preparando la cena, avendo sentito questi di-
scorsi intervenne dicendole che non era più piccolina e il suo bab-
bo quando tornava da lavoro era stanco e non ce la faceva perché
lei era diventata pesante. Ma doveva stare tranquilla, anche se
non la prendeva in braccio, le voleva un mondo di bene.