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Il destino è stato più forte di me

Gemma Messori

Inquietudini, passioni, vittorie e sconfitte.

 

“ Tutti nascono anonimi come me, in una anonima Ajaccio, in un’anonima isola… solo dopo diventano qualcuno...” (Napoleone, Memoriale di Sant’Elena)

 

“Per questo è bello restare nel deserto, e non attraversarlo come turisti in carovana. Perchè noi lo sappiamo, che i gabbiani, se vogliono, possono alzarsi in volo e diventano bianchi”… ( Gemma Messori)

 

La mia voce.

Quando sono arrivata all'Elba, sapevo di Napoleone poco più delle cose che s'imparano a scuola. Ero stata a Parigi, e anche in Corsi­ca, avevo visto le sue dimore, i suoi oggetti. Ma non avevo sentito la sua dimensione. Poi, come spesso accade nella vita, le coinci­denze hanno giocato il loro ruolo. E sono approdata sull'isola, in età già matura, portando con me solo una gatta. Mi sono seduta su uno scoglio ed ho guardato la terra in lontananza, attraverso il mare. Ho visitato le miniere abbandonate, i forti. Sono andata in biblioteca, ho riscoperto vecchi libri, ho letto le sue lettere, pene­trando sempre più nel mistero di un animo inquieto ed affascinan­te. Quella che vi presento è la mia scoperta di una grande e piccola umanità sotto alle vesti del guerriero e dell'eroe, del fascino di ciò che accomuna, perché provato, accanto alle tramandate, e più estranee, gesta storiche. Un Napoleone che par di conoscere, com­prendere, con il quale si potrebbero condividere ore di parole, con­fidenze. La realtà storica è stata a volte da me romanzata, ma sem­pre rispettata. Vi affido un animo profondo, complesso, delicato e prepotente, forte e vulnerabile. Un uomo che ha potuto sterminare eserciti, e commuoversi davanti alle lacrime della donna amata. Imporre freddamente la sua ben calcolata volontà, uccidere, ed ar­rendersi, per amore della sua patria. Un uomo che, dopo aver ten­tato il suicidio, ha deciso di tramandare ai posteri ogni dettaglio della sua vita, rivivendola, in questo modo, dalla nascita alla morte nella solitudine dell'ultimo esilio. Napoleone il Grande, che da qui, dove ora io guardo, ha scrutato l'orizzonte che ingoia i pensieri e li restituisce, immutati, nel salmastro che impregna l'aria.

 

Parte prima.

Letizia. La Corsica.

Sono nata in un deserto, un bel posto per nascere. La mia anima è di sabbia, con miraggio di mare. Laggiù, i gabbiani sono neri e si nutrono di carogne. E quando i bambini piangono, la notte, per­ché hanno paura ad addormentarsi, si dice loro di non temere, perché le stelle veglieranno sui loro sogni. Per questo è bello re­stare nel deserto, e non attraversarlo come turisti in carovana. Perché noi lo sappiamo, che i gabbiani, se vogliono, possono al­zarsi in volo e diventare bianchi... (pag. 3)

 

Napoleone, Me­moriale di Sant'Elena: "Tutti nascono anonimi come me, in una anonima Ajaccio, in un'anonima isola, in un anonimo 15 agosto, di un anonimo 1769, da due anonimi Carlo e Letizia; solo dopo diventano qualcuno; e se prima di ogni altra cosa sono capaci di non deludere se stessi, anche la volontà divina si manifesta sull'uomo”...

Ma­dame de Staël: “Non poteva né sentire né ispirare simpatia alcuni. I suoi modi, il suo spirito, il suo linguaggio portano l’impronta di una natura stra­niera, vantaggio di più per soggiogare i Francesi. Come non ama, così non odia; per lui non c’è che lui. I suoi successi sono dovuti più alle qualità che gli mancano che al genio che possiede”. (pag. 4)

 

Da un opuscolo di Giuliani Dupont: “Questa piccola casa dall'aspetto calmo, dai contorni pittoreschi, perduta nell'immensità di un luogo agreste, fu certamente la dimora preferita, il ritiro pre­scelto dall'Imperatore nel 1814. Essa occupa il centro di una tenuta conosciuta col nome di San Martino. Questa tenuta si estende sulla pendice di un maestoso cerchio di montagne. Una ridente vallata è aperta a levante, e discendendo verso il mare lascia scorgere a poca distanza la baia di Portoferraio, città capitale dell'isola fabbri­cata sopra una roccia staccata che è quasi un'altra isola, alla quale fanno da corona le imponenti fortificazioni medicee. Nel fondo della grande baia si delineano i monti della catena di Rio, che for­nivano il ferro fin dai tempi più remoti. Attratto dalla bellezza del luogo, dalla sua situazione appartata e nello stesso tempo vicina alla città, Napoleone comprò San Martino. Non esisteva allora in quella tenuta altra costruzione che una casa rovinata, abitata dal fattore che amministrava quei terreni, e un vasto magazzino per conservare i vini. Questo magazzino situato in un luogo culminan­te di una veduta meravigliosa fu convertito, sotto la direzione dell'Imperatore, in una modesta, ma tranquilla casa di abitazione, che divenne il suo soggiorno preferito e la sua prediletta passeg­giata per tutto il tempo che restò a Portoferraio”.

Napoleone: “L'ordinamento civile e soprattutto quello militare comportavano spese, che per le nostre casse erano elevate. Avevo portato con me dalla Francia 3.811.615 franchi e 53 centesimi, e nelle casse comunali di Portoferraio vi erano appena 3.547 fran­chi. Occorreva tener conto di tutto ciò che si spendeva, con la massima precisione! Mi consultavo spesso con il mio fidato teso­riere Peyrusse, al quale affidai, non appena riuscii a strapparla all'ostinato Pons, che voleva tenerla a disposizione del competente ministero francese, la somma accumulata dalla gestione delle mi­niere”. (pag. 148)

 

Primavera 2014. Oggi dell'antica attività mineraria restano scavi e scheletri di ferro, avvolti dal rumore del mare. Hanno un fascino maestoso, nella loro distruzione. Il tempo ha arrugginito ciò che l'uomo non usa più, il lavoro è cambiato, ora si pensa soprattutto al turismo, ma l'inverno è lungo, e finita la stagione rimangono il mare, la ruggine, e le orme che i miei passi lasciano sulla sabbia scura e luccicante. (pag. 149)

 

Inverno 2021. Da qualche anno il ponte di Vigneria è adagiato sul fondo del mare, dopo una forte mareggiata. In tanti lo guardiamo senza parole, disperdendo i nostri pensieri fra ricordi, mare e cie­lo. ( pag 149)

 

Letizia: “Nel mese di agosto ci trasferimmo a Marciana. Avevi fatto montare la tua tenda da campo alla Madonna del Monte, e fatto sistemare per me casa Vadi. Molte volte, quando non scende­vi al paese, mi facevo trasportare in portantina dai buoni villici fino al selvaggio Romitorio, dove pregavo con te nella Chiesetta dedicata alla Vergine. Lungo l'ascesa amavo fermarmi, ai taberna­coli in muratura che segnavano le stazioni della Via Crucis e pre­gavo per te, contemplando quel mare soggiogante... Quest'isola dai mille aspetti, dai mille colori, scapigliata dal libeccio, o compunta per la calma dei venti, era sempre bella, sempre maliarda nella grazia serafica e nella paurosa violenza. La Corsica da qui si vede­va nitidamente, oltre il mare, e pareva più vicina. Pensai di fe­steggiare il tuo compleanno offrendoti una piccola festa campe­stre. Chissà se ti vennero in mente le feste date in tuo onore, quel­lo stesso giorno, per tanti anni, quando echeggiavano i cannoni de­gli Invalidi e le sale si riempivano di invitati, tra musiche e luci! Nel cielo d'agosto brillavano i fuochi d'artificio, e mille lampadine accese disegnavano nell'oscurità una enorme N. Quelle manifesta­zioni mi son sempre sembrate esagerate, me ne stavo in disparte ad osservarvi, mentre in cuor mi auguravo che quei momenti du­rassero, pur sapendo che erano troppo artificiali, per poter durare a lungo... Sull'isola tutto era più genuino, la nostra piccola festa campestre mi ricordava quelle che facevamo ad Ajaccio”. ( pag 153-154)

 

Giuseppina: “Una sera passasti ore a sfogliare l'almanacco impe­riale...”

Napoleone: “Era proprio un bell'Impero. Avevo da governare 83 milioni di uomini, più della metà dei popoli d'Europa!”.

Giuseppina: “Un'altra sera ricordasti la gioventù con Las Cases...”

Napoleone: “Com'è passato rapido il tempo stasera! Che ore gra­devoli! Mio caro, voi lasciate un uomo felice”.

Giuseppina: “Nei tuoi disperati tentativi di far trascorrere velo- ce­mente il tempo, donavi il tuo maggiore affetto a Tobia, uno schia­vo malacco rubato da pescatori, poi venduto, e infine gettato sull'isola. Lo osservavi, mentre lavorava in giardino, o sulla strada. Ed egli ti chiamava “Mio buon signore”... Io lo so, cosa vedevi in lui: un uomo al quale era stato sottratto tutto. La sua Patria, la sua famiglia, se stesso... Un uomo che era stato rubato e poi venduto. Cosa si poteva fare di peggio, ad un uomo?”.

Napoleone: “Che miseranda macchina è mai l'uomo! Non una for­ma che sia simile all'altra, non un'anima che non sia diversa da tut­te le altre. Chi non ne tien conto, commette molti errori. Quest'uomo aveva la sua famiglia, i suoi amici, la sua esistenza. Quale delitto condannarlo ad essere schiavo fino alla morte su quest'isola!”. (pag 178)

 

C'è qualcosa, in una piccola isola, che soddisfa il cuore dell'uomo”. Ed èvero. C'è qualcosa di speciale, qui. (pag. 186)

 

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