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Abruzzo D'Autore

Lina Fornarola e Francesca Di Giuseppe

La Famiglia Pupi

Mi sono svegliata presto. Sono sola in casa e ho fatto un brutto sogno. Era solo un sogno, ma sono preoccupata. Mio marito e i miei figli sono al pascolo con le nostre pecore: è il loro lavoro. I miei ragazzi di 11 e 12 anni sono così piccini, ma sono già pastori: come il loro padre e il loro nonno, è tradizione, si fa per vivere. Ho sognato che stavano tornando a casa con il gregge e una tormenta di neve li ha sorpresi, li vedevo da lontano, sentivo i campanacci delle pecore, l’abbaiare dei cani, li chiamavo, e loro mi rispondevano, ma non riuscivo a raggiungerli. Camminavo verso di loro ma invece di avvicinarmi mi allontanavo, ho cominciato così a disperarmi nel sogno e ho allungato le braccia per toccarli, ma sono svaniti. Mi sono svegliata, un brivido mi è salito lungo la schiena.

Comincia a schiarire, mi affaccio alla finestra della nostra casa di Roio Piano, vicino a L’Aquila. Vedo la Montagna, Nunzio è in ritardo, ho saputo che gli altri pastori sono già scesi a valle, ma lui non si vede, sicuramente vorrà sfruttare fino in fondo gli ultimi giorni di bel tempo ma la Montagna, con l’arrivo dell’autunno, fa paura. Non li vedo da molto tempo, io rimango qui da sola, e loro sono lì. E’ dura, ma non c’è scelta, siamo pastori è questo il nostro destino. Se avessi avuto almeno una bambina - ma che vado a pensare - il mio Idolo mi mancherebbe comunque e anche Alfredo e il caro Nunzio sempre al lavoro, con i formaggi da fare. Mi dispiace di non poterli raggiungere, devo badare alla casa.

Dormono in un capanno dove c’è lo stazzo, e dove lavorano. Preparano prodotti freschi e hanno tanti clienti. Magari da un momento all’altro li vedrò spuntare all’orizzonte. Preparo qualcosa di caldo per il pranzo così se arrivano ne avranno ristoro, prendo due foglie di alloro e faccio il pane cotto, per consumare tutto il pane duro che da sola non riesco a finire. Cuocio anche un’infornata di pane fresco, l’impasto è a lievitare, l’ho rigirato è pronto. Meglio che tenga la mente impegnata altrimenti il tempo sarà più lungo.

Il sole è tramontato e loro non sono tornati, mangio un po’ di pane cotto, non ho fame, sono stanca, mi siedo vicino al camino acceso, mi appoggio e il sonno mi rapisce. Eccoli per fortuna: “Idolo, Alfredo, Nunzio!” li chiamo a squarciagola, non reggo più l’attesa di riabbracciarli, corro verso di loro, sono così vicini, faccio per toccarli ma il gesto mi fa spostare dal muro dove sono appoggiata, quasi cado. Ancora un maledetto sogno, mi mancano troppo: è questa la verità. Mi porto verso il letto, guardo fuori: è buio pesto, è nuvoloso e fa molto freddo, apro la finestra per sentire l’aria sul viso, è gelida, il tempo è cambiato. “Su Ersilia, vai a dormire, domani torneranno”. Mi infilo nel letto umido, ma sono temprata e il mio pensiero è solo per loro. Amori miei, dove siete? Domani se non tornate vi vengo a cercare, giuro. Non riesco a dormire. Mi alzo metto lo scialle di lana sulle spalle, esco fuori, ho paura dei lupi, l’aria gelida è diventata vento, e il vento ulula.

Torno dentro, provo a dormire pensando a quand’ero ragazza e vivevo a Capestrano, ma non riesco, il pensiero della mia famiglia in difficoltà mi fa impazzire. Infine il sonno arriva pietoso, pesante. Mi sveglio di soprassalto. Troppa luce dalla finestra: è il candore della neve. Continua a nevicare, ogni fiocco di neve sa bene dove cadere, in un attimo il mio cuore è di ghiaccio. Infilo gli scarponi, metto lo scialle in testa e corro fuori, la neve freschissima mi fa affondare, non andrò lontana, specialmente vestita così. Non importa corro, cado e mi rialzo: “Nunzio, Idolo, piccolo Alfredo, amori miei, vita mia, dove siete?”

Qualcuno mi raccoglie a brandelli e mi porta a casa, c’è altra gente, vedo i loro volti contrariati, ma non mi arrendo, con un po’ di forza mi metto seduta sul letto, provo a camminare, non riesco, una vicina mi soccorre: “Calmati Ersilia, sono andati gli uomini a cercarli, vedrai che li troveranno, si saranno riparati da qualche parte, non disperare.”

Per molti giorni sono rimasta ad aspettare: “Sono al sicuro” penso fra me “e appena il tempo lo permetterà li vedrò spuntare all’orizzonte”. Cantavo e sognavo primavere passate, pianti di neonato, i miei genitori, i miei fratelli, cantavo e sognavo di primavere future, quando tutti insieme avremmo festeggiato con Nunzio e i miei piccoli, già di professione pastori. Il 18 ottobre 1919 - con la grande nevicata improvvisa - ho perso la mia famiglia. Il 14 novembre di quello stesso anno sono stati ritrovati i corpi, assiderati. Non ricordo se li ho visti per un’ultima volta, ho ancora nella testa le campane a morto della chiesa di Calascio, li aspetto ancora come quel giorno e li sogno sempre, e corriamo insieme per le distese infinite di Campo Imperatore, là dove sono volati in cielo.

L’inverno è finito, il profumo della primavera mi è insopportabile, nel dolore più profondo sono arrivata a giugno - il 12 giugno del 1920, per la precisione - è quasi estate. Li ho sognati ancora, come quella prima volta, lontani. Ho cominciato a correre, leggera, felice e questa volta li ho raggiunti, abbracciati, ho sentito il calore dei loro corpi, mi mancavano troppo. Nella mia follia, non so più se in sogno o in realtà siamo finalmente insieme, la mia famiglia ricongiunta: Ersilia Caruso 35 anni, Nunzio Pupi 41, Idolo 12 e Alfredo 11, professione Angeli. (Racconto di Lina Fornarola)

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