Ci sono notti di luna piena, nel cuore delle dolci colline serviglianesi, in cui puoi ascoltare i racconti di piccole e grandi vicende umane e sovrumane di cui ho memoria, se sei capace di fermarti in silenzio. Questa notte ti parlerò di come, in queste anonime terre di provincia, chiuse e all’apparenza immutabili, ricche di acqua, misteri e superstizioni, dominate da gerarchie e divisione in classi sociali, toccate dal conflitto mondiale, Agnese, una donna umile e determinata, ebbe l’ardire ingenuo e genuino di esprimere il proprio talento e la sua visione della vita. Tra mezzadri, contadini, servi e vergare, che vivevano il cambiamento come una minaccia all’unità familiare e al sostentamento della grande famiglia patriarcale, tutti radicati alla terra in senso materiale e valoriale, Agnese insinuò nelle crepe della rigida autorità di una nobildonna il senso del legame naturale tra persone, attraverso i sapori della sua cucina e la propria forza interiore di madre e generatrice.